Tra due mondi – Olivier Norek -
recensione a cura di Lilli Luini
Cominciamo con la trama, per inquadrare ciò di cui stiamo parlando. Dopo un prologo breve e terribile, la vicenda si apre in Siria, nelle prigioni del dittatore Assad. Qui, due ufficiali della polizia militare stanno interrogando un prigioniero, nudo, legato a una sedia, picchiato. Ma l’uomo, militare dell’Esercito siriano libero, oppositori del regime. non parla e allora uno dei due suggerisce di iniziare a torturarlo. L’altro, di nome Adam, si allontana dall’edificio. Perché è anche lui un militare dell’Esercito siriano libero e sa che, appena il prigioniero parlerà, la sua vita a Damasco sarà finita. Mette in atto il piano predisposto da tempo: va a casa e fa partire in fretta e furia moglie e figlia, in uno di quei viaggi che la cronaca ci racconta ogni giorno. E poi, lui stesso, sistemate le ultime cose, partirà. Si ritroveranno a Calais e da lì andranno in Inghilterra. Soltanto Adam ci arriverà, a Calais, e con lui entreremo in quella che veniva chiamata “giungla”, quella tendopoli vergogna dell’Europa che nei due anni in cui è stata attiva è arrivata a ospitare 7/8.000 persone.
Non solo le condizioni igieniche erano drammatiche, ma
all’interno vigeva la più assoluta illegalità, con stupri, omicidi,
accoltellamenti, guerre tra gruppi di etnie differenti. Con le istituzioni
totalmente impotenti, gli unici ad occuparsi erano i volontari, che cercavano
di proteggere almeno donne e bambini.
Quando Adam sottrae un bambino a un gruppo che lo usava come
giocattolo sessuale, diventa anch’egli un bersaglio, ben deciso tuttavia a non
uscire dal campo perché vive nella fede incrollabile che, prima o poi, moglie e
figlia arriveranno. Il protagonista non è un eroe ma un uomo che ha fatto il
poliziotto per quindici anni e che ha un forte senso della giustizia. Il suo
incontro, fuori dalla Giungla, con il tenente francese Bastien Miller, che ne
condivide i valori, sarà importante per entrambi.
Norek usa la forma romanzo per metterci in faccia la realtà
che non vogliamo vedere. Non è un noir in senso classico, ha scritto qualcuno,
ed è vero: non c’è delitto, non c’è investigazione, ma è un romanzo nero, nero
come l’ebano. Come il buio in cui siamo finiti in questi ultimi decenni.
É un libro paralizzante. Di fronte a certe scene, raccontate
con una scrittura precisa, apra, penetrante, ti sensi come se buttassi giù di
colpo un whisky senza averlo mai bevuto prima. Chiudi gli occhi, annichilito
dal colpo.
È un atto d’accusa all’Occidente, incapace sia di evitare le
dittature con annessi e connessi, sia di gestire quel che ne deriva, vale a
dire l’emigrazione da paesi dove non si può vivere in pace e dignità. Anzi,
dove la morte rappresenta la normalità e la paura fa parte del quotidiano.
La Giungla di Calais ufficialmente è stata smantellata
nell’ottobre del 2016. Ma chiudendo il libro ti chiedi quante Giungle, magari
più piccole quindi meno visibili ai media, esistano ancora in Europa. E tutto
quello che hai letto te lo porti dietro, senza dimenticare una virgola.
genere: noir
anno di pubblicazione: 2018
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