Lucy davanti al mare – Elizabeth Strout
«Chi può sapere
perché le persone sono diverse? Nasciamo con una certa natura, credo. E poi il
mondo comincia a prenderci a bastonate.»
La
Lucy del titolo l’abbiamo già incontrata, noi lettori affezionati. È la stessa di Mi chiamo Lucy Barton, la
giovane donna che in una camera d’ospedale reincontra la madre dopo moltissimi
anni. La stessa che in Oh, William!, ormai ultrasessantenne, mette a mette a
fuoco la figura del primo marito, William appunto, con il quale il legame non
si è mai del tutto spezzato. È una donna complessa, con alle spalle un’infanzia
segnata da miseria e disamore, che è riuscita a studiare, emergere, diventare
una scrittrice di successo ma continuando a sentirsi invisibile, poco
importante,
In
Lucy davanti al mare siamo all’inizio del 2020, il mondo sta per essere
travolto dalla pandemia ed è proprio William che interviene per mettere al
sicuro tutti quelli che ama. A Lucy lascia poche ore per prepararsi a lasciare
New York alla volta di una casa nel Maine, davanti al mare, dove passeranno
insieme quelle settimane che poi diventano mesi. . Il romanzo è la storia di
quei lunghi mesi, in cui ritroviamo anche noi stessi: la lontananza dalle
figlie, il sorgere di nuovi contatti, nuove abitudini, nuove paure, in una vita
quotidiana che si basa su gesti ripetitivi, sempre uguale a sè stessi, dove non
c’è più la vita conosciuta e non si sa se e quando ritornerà. Una quotidianità
segnata dal bollettino della pandemia, ogni giorno in TV alla stessa ora, e
dalle notizie di lutti, amici e parenti che soccombono al virus.
Piano
piano Lucy si rende conto che l’isolamento e la solitudine sono condizioni che
lei conosce: «Ma quella sera ero così triste: e ho capito – l’ho capito più
volte in momenti diversi della mia vita – che l’isolamento della mia infanzia
non mi avrebbe mai abbandonata. La mia infanzia era stata un lockdown.»
Ma
in quell’isolamento, attraverso la TV, il mondo di fuori si fa sentire. Siamo
nell’anno dell’assassinio di Floyd e delle proteste che sono seguite, e poi
dell’irruzione a Capitol Hill, che Lucy si rifiuta di guardare al telegiornale.
«…
per qualche minuto ho avuto quasi una specie di visione: che ci fosse un
disagio molto, molto profondo nel paese e che il mormorio di una guerra civile
sembrava muoversi intorno a me come una brezza che non percepivo sulla pelle ma
di cui sentivo la presenza.»
Al
centro dell’interesse della Strout ci sono sempre le persone, i loro rapporti.
Pur in quel mondo che tutti noi, come Lucy, percepivamo come estraneo,
impossibile, il suo occhio di scrittrice coglie dettagli, movimenti
impercettibili ma rivelatori, forza e debolezza, paure.
In
quella cittadina immaginaria l’autrice mette in scena tutto il suo mondo: nelle
sue passeggiate solitarie, Lucy fa amicizia con un’infermiera della RSA dove
vive una paziente burbera di nome Olive Ketteridge e soprattutto fa amicizia
con Bob Burgess, uno dei tre fratelli protagonisti di un altro suo capolavoro.
Anche
il tema della maternità entra prepotente nel racconto e ci coinvolge, sia come
figlia – con quella doppia madre di cui Lucy parla, quella reale e quella buona
inventata negli anni per cercare di autoguarirsi – sia come madri a nostra
volta, che soffriamo il dolore dei nostri figli ma dobbiamo lasciarglielo
vivere.
«Ed eccole lí,
le mie splendide figlie. Vicino al laghetto delle anatre c’erano le mie
bambine. Che in realtà non erano mai state mie, ho pensato raggiungendole, non
piú di quanto fosse mai stata mia New York.»
E la logica
conseguenza:
«Sono
rimasta un momento a guardarle mentre si allontanavano. Pensavo a quanto loro –
e le loro vite – fossero diverse da come me le ero aspettate. E ho pensato:
Sono le loro vite, possono farne quello che vogliono, o che devono.»
genere: narrativa
anno di pubblicazione: 2024
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