domenica 2 giugno 2024

LUCY DAVANTI AL MARE

 




Lucy davanti al mare – Elizabeth Strout

 recensione a cura di Lilli Luini

 

«Chi può sapere perché le persone sono diverse? Nasciamo con una certa natura, credo. E poi il mondo comincia a prenderci a bastonate.»

 Ogni volta che leggo un romanzo di questa autrice (che i più conoscono per la raccolta di racconti Olive Ketteridge, Premio Pulitzer 2009 e serie Netflix di successo) rimanzo stupita e mi chiedo come si faccia a scrivere così. Le sue pagine scorrono fluide come un fiume eppure sono dense e profonde come pochi autori riescono. C’è una grazia, nel suo raccontare, che incanta.

La Lucy del titolo l’abbiamo già incontrata, noi lettori affezionati.  È la stessa di Mi chiamo Lucy Barton, la giovane donna che in una camera d’ospedale reincontra la madre dopo moltissimi anni. La stessa che in Oh, William!, ormai ultrasessantenne, mette a mette a fuoco la figura del primo marito, William appunto, con il quale il legame non si è mai del tutto spezzato. È una donna complessa, con alle spalle un’infanzia segnata da miseria e disamore, che è riuscita a studiare, emergere, diventare una scrittrice di successo ma continuando a sentirsi invisibile, poco importante,

In Lucy davanti al mare siamo all’inizio del 2020, il mondo sta per essere travolto dalla pandemia ed è proprio William che interviene per mettere al sicuro tutti quelli che ama. A Lucy lascia poche ore per prepararsi a lasciare New York alla volta di una casa nel Maine, davanti al mare, dove passeranno insieme quelle settimane che poi diventano mesi. . Il romanzo è la storia di quei lunghi mesi, in cui ritroviamo anche noi stessi: la lontananza dalle figlie, il sorgere di nuovi contatti, nuove abitudini, nuove paure, in una vita quotidiana che si basa su gesti ripetitivi, sempre uguale a sè stessi, dove non c’è più la vita conosciuta e non si sa se e quando ritornerà. Una quotidianità segnata dal bollettino della pandemia, ogni giorno in TV alla stessa ora, e dalle notizie di lutti, amici e parenti che soccombono al virus.

Piano piano Lucy si rende conto che l’isolamento e la solitudine sono condizioni che lei conosce: «Ma quella sera ero così triste: e ho capito – l’ho capito più volte in momenti diversi della mia vita – che l’isolamento della mia infanzia non mi avrebbe mai abbandonata. La mia infanzia era stata un lockdown.»

Ma in quell’isolamento, attraverso la TV, il mondo di fuori si fa sentire. Siamo nell’anno dell’assassinio di Floyd e delle proteste che sono seguite, e poi dell’irruzione a Capitol Hill, che Lucy si rifiuta di guardare al telegiornale.

«… per qualche minuto ho avuto quasi una specie di visione: che ci fosse un disagio molto, molto profondo nel paese e che il mormorio di una guerra civile sembrava muoversi intorno a me come una brezza che non percepivo sulla pelle ma di cui sentivo la presenza.»

Al centro dell’interesse della Strout ci sono sempre le persone, i loro rapporti. Pur in quel mondo che tutti noi, come Lucy, percepivamo come estraneo, impossibile, il suo occhio di scrittrice coglie dettagli, movimenti impercettibili ma rivelatori, forza e debolezza, paure.

In quella cittadina immaginaria l’autrice mette in scena tutto il suo mondo: nelle sue passeggiate solitarie, Lucy fa amicizia con un’infermiera della RSA dove vive una paziente burbera di nome Olive Ketteridge e soprattutto fa amicizia con Bob Burgess, uno dei tre fratelli protagonisti di un altro suo capolavoro.

Anche il tema della maternità entra prepotente nel racconto e ci coinvolge, sia come figlia – con quella doppia madre di cui Lucy parla, quella reale e quella buona inventata negli anni per cercare di autoguarirsi – sia come madri a nostra volta, che soffriamo il dolore dei nostri figli ma dobbiamo lasciarglielo vivere.

«Ed eccole lí, le mie splendide figlie. Vicino al laghetto delle anatre c’erano le mie bambine. Che in realtà non erano mai state mie, ho pensato raggiungendole, non piú di quanto fosse mai stata mia New York.»

E la logica conseguenza:

«Sono rimasta un momento a guardarle mentre si allontanavano. Pensavo a quanto loro – e le loro vite – fossero diverse da come me le ero aspettate. E ho pensato: Sono le loro vite, possono farne quello che vogliono, o che devono.»

 È un libro incredibile. Arrivi alla fine e ti chiedi come sia possibile che una vicenda così normale, fatta di personaggi che potrebbero essere il tuo vicino di casa o tuo cugino, senza accenni di straordinarietà né eroismi, possa tenerti inchiodato alle pagine fino alle due del mattino.


genere: narrativa

anno di pubblicazione: 2024

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