giovedì 21 dicembre 2023

IL CUORE DELLE COSE

 




Il cuore delle cose - Natsume Soseki

Recensione a cura di Miriam Donati

 

Nel Giappone di un tempo era frequente che le persone scegliessero ed eleggessero un "sensei”, cioè un maestro di vita, non necessariamente un insegnante vero. Ed è quello che fa il protagonista di questo romanzo. Egli lo riconosce al primo sguardo. La loro relazione procede delicata come i fiori di ciliegio. Ogni parola concorre a svelare ma, al contempo, suggerisce di non fare troppe domande e la narrazione procede lieve e con un ritmo sereno.

Come nella pittura in stile mokkotsu (senza contorni, definita solo dai colori) i personaggi non hanno nome, sono perfettamente definiti dalle loro personalità che vengono così a trasformarsi in archetipi,

Il “Maestro”, colto, raffinato e sensibile ama discorrere e apprezza la compagnia del giovane ma un curioso pudore lo frena. Il giovane, pur frequentandolo, non riesce né a stabilire quale sia la sua occupazione né a comprendere i molti riferimenti e le oscure intenzioni che il suo interlocutore a volte esprime. Tuttavia si creerà un legame forte, più forte forse proprio in virtù delle cose non dette.

Per lo studente il fascino del “Maestro” è irresistibile, soprattutto paragonando la sua cultura e i suoi modi cittadini con quelli dei propri genitori, gente di campagna, la cui attenzione si esprime più con le azioni, che con le parole.

Il giovane discepolo tenterà diverse volte di dipanare la nebbia relativa al passato del suo maestro, ma non otterrà mai risposta alle sue domande, ricavandone solo decisi rifiuti.

La frattura nella vita del protagonista sarà improvvisa e completa. Prima la malattia del padre e poi il mistero svelato e la sorte del “Maestro”, raccontata in una lunghissima lettera che occupa per intero la seconda parte del romanzo, porranno fine alle illusioni della giovinezza.

Il “Maestro” nella lettera – quasi un testamento – rivela se stesso e mostra quanto sia effimera l’esistenza in una società ormai adagiata sulle comodità, sull’agiatezza e sulla sicurezza.

Il suo appartarsi, le sue abitudini monacali indicano che la solitudine “è il prezzo che dobbiamo pagare per essere nati in questa epoca moderna, così piena di libertà, indipendenza, ed egoistica affermazione individuale”.  Che, nonostante gli sforzi, non ci sarà mai un completo appagamento; l’uomo sarà comunque un essere insoddisfatto, solo in mezzo a tanti, che tenta di vedere nei suoi atti senza riuscirci nientemeno che il senso della vita. Il cuore delle cose.

Difficile conservare per il giovane l’innocenza dello sguardo e la fiducia nel futuro. Il mondo non ha pazienza né pietà e la geniale costruzione concentrica del romanzo lo conferma, età dopo età si è chiamati ad accettare se non lo spegnersi, lo sbiadire dei sogni. Cercare pertanto di trovare il senso della vita può voler dire rimanere con il dubbio che non ci sia e l’estrema attenzione di Sôseki per questo concetto nasce probabilmente dalla sua storia personale, raccontata nell’introduzione di Gian Carlo Calza (Sôseki: la solitudine come arte) che è anche il traduttore del libro.

 Genere Narrativa

Anno di pubblicazione 1914


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