Ciao Daniela, benvenuta nello spazio interviste del blog
Giallo e cucina. Grazie per aver accettato il nostro invito. Sono contento di
poter fare un po’ di chiacchiere insieme a te. Di poterti conoscere meglio. Hai
scritto già diversi romanzi, hai spaziato in molti generi. Durante questa
chiacchierata parleremo più o meno di tutti ma mi soffermerò maggiormente su
gli ultimi due. Ma andiamo con ordine.
Prima di tutto ti chiedo di farci sapere un po’ di te: di
dove sei? Cosa fai nella vita oltre a scrivere e se si può scoprire cose c’è dietro
quella E. Lo so sono un po’ impertinente…
Ciao Gino e grazie per avermi
proposto questa intervista. Fortunatamente non mi ha chiesto l’età (tiro un
sospiro di sollievo) sono nata a Napoli dove vivo attualmente con il mio cane
Argon, dopo aver girovagato un po' per il mondo e aver vissuto dieci anni a
Pavia. Oltre a scrivere ho fatto diversi lavori nella vita, dall’animatrice
turistica all’istruttrice di Zumba, e ora lavoro in un Caf. Per quanto riguarda
la “E.” del mio cognome, come potrà essere facilmente intuibile ora che conosci
le mie origini partenopee, sta semplicemente ad abbreviare Esposito; ho
preferito mantenere solo la lettera iniziale perché è un cognome piuttosto
diffuso a Napoli, ma allo stesso tempo non volevo abbandonare totalmente le mie
origini. Forse è anche in onore di ciò che mi sono astenuta dal lasciarmi
trasportare dalla reincarnazione di Malefica (Maleficent) che è in me e dal
risponderti ironicamente con un aforisma di Oscar Wilde: “La gente ha un’insaziabile
curiosità di conoscere tutto, tranne ciò che vale la pena sapere”.
Come mai e quando hai deciso di iniziare a scrivere?
Ho iniziato a leggere e scrivere
piuttosto presto, a cinque anni, perché volevo leggere le fiabe e le favole per
conto mio e da sola e la passione per la vera e propria scrittura è nata di
pari passo a quella per i libri, come se fosse qualcosa di naturale e
indispensabile, poi quando mi sono appassionata alla saga di Harry Potter ho
iniziato a scrivere dei veri e propri racconti e ho capito che la scrittura
sarebbe stata la mia passione principale e che sarebbe potuta diventare un vero
e proprio mestiere.
Oltre a scrivere sei anche una lettrice? Hai un genere
preferito?
Chiaramente da scrittrice sono
principalmente una lettrice, il mio genere preferito è certamente il thriller,
seguito di pari passo dall’horror (in pratica i genere che amo scrivere) amo
anche i libri di fantascienza e fantasy ma solo particolarmente severa nella
scelta in questi due casi, mentre il più delle volte evito lo storico e il
romantico (quello esclusivo)
Da dove nascono le tue storie? Elabori notizie che leggi
o sono esclusivamente di fantasia? I personaggi dei tuoi libri sono stati
ispirati da persone reali?
Ad ispirarmi le storie può essere
qualsiasi cosa, anche una foglia che cade da un albero per intenderci, ma non
mi è mai accaduto di avere particolare ispirazione grazie ad un preciso evento
o notizia in particolare, idem per i personaggi: capita che mi lasci
“affascinare” da qualche personaggio più che da una persona reale, ma solo per
qualche piccolo aspetto estetico o caratteriale. La mia mente e la mia fantasia
viaggiano sempre ad una velocità umanamente incomprensibile e improvvisamente
vengono fuori delle piccole ombre che a poco a poco assumono la forma di esseri
umani sempre più dettagliati che ad un certo punto si siedono alla mia
scrivania e iniziano a raccontarmi le loro storie. In pratica vivo
costantemente in una sala d’attesa gremita di gente che se ignorata inizia a
parlare sempre più forte, fino a quando inizio a distribuire i numeretti e a
dare voce alla loro anima.
Hai solitamente una scaletta prefissata o ti fai condurre
dalla narrazione?
All’inizio la mia scrittura non
seguiva un vero e proprio schema, aveva una base iniziale e si lasciava poi
condurre dalla narrazione. A distanza di anni e dopo aver accumulato una certa
esperienza la mia scrittura è mutata in diversi aspetti, è maturata, si è
evoluta e di conseguenza anche il modo di impostare la storia: ora seguo un
preciso schema, anche se qualche volta un personaggio si evolve insieme alla
vicenda e inizia a fare i capricci, tende a voler andare verso un’altra strada
e io li accontento sempre, dopotutto sono le loro storie, le loro vicende e io da
semplice narratrice non posso fare altro che seguire il loro nuovo percorso,
anche perché… hanno sempre ragione, se li assecondo le storie funzionano
meglio.
Giunge a questo punto la mia classica domanda, quella che
non manca mai quando intervisto un autore. Mi riferisco alla domanda sulle case
editrici. Domanda forse un po’ scomoda per voi scrittori ma che ha me
incuriosisce sempre molto. Devi sapere che nelle mie letture hanno una corsia
preferenziale gli autori emergenti, o quelli che vorrebbero esserlo, e gli
autori self. Tu per l’appunto hai pubblicato i tuoi romanzi in proprio. Mi
spieghi un po’ se è stata una decisione voluta o l’hai dovuta prendere in
considerazione dopo esserti scontrata col “complicato” mondo degli editori? E’
una scelta che pensi di rifare anche coi prossimi libri o in futuro cercherai
in ogni modo di affidarti ad una casa editrice? Tra l’altro i tuoi libri se non
sbaglio sono stati tradotti anche in inglese. Anche questa una scelta
ponderata?
Essere un
autore emergente o comunque non conosciuto rende la vita “da scrittore” molto
difficile, essere autori in self non è assolutamente facile, significa fare
tutto da soli (come la correzione del testo, la copertina, la pubblicità ecc…) o
dover cercare aiuto in altre persone e dover pagare (altro disagio visto che
spesso non si gode di grandi possibilità economiche) di conseguenza la “scelta”
di pubblicarsi in autonomia è sempre dettata dalla disperazione: spesso le case
editrici più importanti non rispondono neanche all’invio di un manoscritto da
parte di un autore emergente e quindi senza un gruppo di lettori accaniti, le
medio-piccole chiedono un contributo economico da parte dell’autore (DIFFIDARE
SEMPRE! Una casa editrice degna di questo nome non chiede soldi all’autore) e
altre non hanno abbastanza visibilità e servizi da aiutare a far conoscere
degnamente uno scrittore. In pratica il selfpublishing spesso rimane l’alternativa
più valida ad una buona casa editrice ed è questo che mi ha portato ad auto
pubblicare il mio primo romanzo, successivamente è diventata una mia scelta
ponderata (sempre per i motivi sopra elencati) anche se non disprezzerei avere
una casa editrice, ovviamente a questo punto posso permettermi di ambire alle
migliori in circolazione (risata malefica).
Tradurre due dei miei libri anche
in lingua inglese è stata una mia precisa scelta, a lungo ponderata, un
investimento che alla fine ho deciso di fare anche se pubblicizzarsi in un
paese diverso dal proprio è ancora più complicato, ma rende più professionale
la propria figura e sicuramente è un modo ulteriore per farsi conoscere.
Iniziamo a parlare finalmente dei tuoi libri, ne hai
scritti quattro se ho fatto bene i conti. Il primo romanzo che hai pubblicato è
stato Loren nel “lontano” 2017. A che genere lo ascriveresti? A questo è
seguito Kohu. Ancora un cambio di genere. Poi col terzo ed il quarto ti sei
spostata nel thriller/horror il terzo per inciso si intitola La giostra dei
clown e il quarto La giostra delle bambole di pezza. Gli ultimi due li ho letti
e li ho trovati molto divertenti, coinvolgenti ed a loro modo originali. Raccontami
se vuoi i vari passaggi che hanno maturato il tuo approdo al genere thriller.
Non hai sbagliato i conti, sono
effettivamente quattro i miei libri. Il primo, Loren, è di genere
romantico/drammatico, con qualche sfumatura di giallo e molto noir; questi
ultimi due generi e il fatto di aver involontariamente portato un libro
romantico verso quel mondo mi hanno fatto riflettere sul quale fosse
esattamente la mia strada e quando è apparsa Terry Brooke non ho potuto fare
altro che abbandonarmi al thriller, perché il secondo libro che ho scritto è
stato proprio La Giostra dei Clown; lo splatter che ha preso il sopravvento nel
libro mi ha poi portata definitivamente verso l’horror e, lasciandomi ispirare
dal mito de La Borda e di altre storie simili in giro per il mondo (ricerca
molto dettagliata che ho fatto da amante dell’occulto e del paranormale) ho
scritto Kohu (che in lingua maori significa nebbia) e con l’ultimo romanzo ho
definitivamente dedicato la mia scrittura al thriller e all’horror, cosa forse
piuttosto predestinata e scontata per una che gli amici chiamavano “La Strega
di Blair”
Il terzo ed il quarto romanzo sono i primi due di una
serie ed hanno entrambi per protagonista l'Ispettrice di Polizia Terry Brooke.
Una poliziotta che porta con sé un passato difficile e un grande dolore. Raccontaci
un po’ la trama dei romanzi facci venir voglia di leggerli. Terry Brooke la
avevi già in mente cosi o la sua storia è nata poco a poco?
Terry Brooke è stata una vera e
propria folgorazione, è apparsa improvvisamente con la sua giacca di pelle, la
sua lunga treccia e la cicatrice sul viso; è entrata nel mio ufficio
spalancando la porta senza bussare o chiedere il permesso, si è seduta sulla
sedia difronte alla mia scrivania con la sua solita aria imbronciata e ha fatto
scorrere sul piano di legno un foglio di carta bianco e una penna e… ovviamente
nessuno può contraddire Terry Brooke, quindi ho iniziato a scrivere la storia
che lei infastidita aveva iniziato a raccontarmi tra una sigaretta e l’altra.
Entrambe le vicende narrate nei due libri sono abbastanza cruente, ne “La
Giostra dei Clown” Terry affronta un serial killer particolarmente sanguinoso e
ossessionato dai Clown (piccola curiosità: sono coulrofobica) mentre deve
affrontare anche alcune difficili vicende personali, come quella di
ripristinare una parte della sua memoria persa a causa dell’incidente che le ha
sfigurato il volto nel quale ha perso la vita sua sorella gemella. In realtà il
libro doveva essere fine a se stesso, ma un giorno Terry è rientrata nel mio
studio e alla “Brooke maniera” mi ha fatto capire che aveva ancora qualcosa da
raccontare, è nata così The Terry Brooke series e il secondo libro della serie:
“La Giostra delle bambole di pezza” dove l’ispettrice di Polizia si ritrova a
scontrarsi con la mente contorta e psicopatica di un giovane ossessionato dai
riti voodoo che trasforma le sue vittime in vere e proprie bambole tramite dei
macabri riti.
In questi due romanzi la squadra di Terry Brooke ha a che
fare con spietati serial killer. Ecco io non conosco perfettamente le
scrittrici dei thriller puri e semplici e magari mi sbaglio ma credo tu sia una
delle poche che abbia intrapreso questa strada. Mi riferisco anche al fatto che
le gesta del maniaco in questione sono descritte con dovizia di particolari.
Rendendo la vicenda piuttosto “disturbante”. Come mai questa scelta e poi ti
viene “naturale” descrivere queste situazioni estreme?
Innanzitutto grazie per il
grandissimo complimento. Sicuramente, per quanto macabro possa sembrare,
determinate scene sono ciò che scrivo in maniera totalmente diretta e naturale,
in tutti noi alberga un killer e il mio si sfoga attraverso i miei libri, alla
fine sono io il serial killer più terribile dei miei romanzi. In molti mi
scrivono complimentandosi per le scene più crude, vissute dal lettore quasi
come una vicenda reale, questo è sicuramente amplificato dalla semplicità della
scrittura che utilizzo in queste scene, credo che utilizzare un lessico
complesso durante scene già particolarmente pesanti e crude possa essere
controproducente e stancare il lettore che inevitabilmente si distrare, facendo
sfumare la fantasia e l’immaginazione; al contrario utilizzando una scrittura
semplice il lettore si concentra maggiormente sulla scena catapultandosi
totalmente al suo interno.
Un’altra domanda che faccio spesso per appagare la mia
curiosità e che spero sia anche di chi ci sta leggendo. Preferisci di più i
finali accomodanti (col lieto fine), o preferisci lasciare qualcosa di non
concluso o poco definito? Ti piacciono i finali spiazzanti ed un po’ cinici o
preferisci il vissero tutti felici e contenti? La mia domanda è tendenziosa
perché io sono un maledetto cinico e nei romanzi che leggo cerco sempre questo
aspetto, soprattutto nei finali.
Il “vissero felici e contenti” non lo ignoro totalmente ma
neanche lo ricerco spasmodicamente, a volte lo utilizzo come illusione prima
della sentenza definitiva, altre volte lo lascio come sottofondo… oh! Insomma…
i miei lettori ti direbbero che NO! Non amo utilizzare i lieto fine, che il
“vissero per sempre felici e contenti” non so neanche come si scrive e che sono
una s*****a cinica e bastarda (dopotutto sono un Villain non una principessa
Disney)
Progetti futuri? Stai già lavorando a qualcosa o ti stai
godendo il momento? Ci sarà ancora Terry Brooke protagonista in una delle tue
prossime opere?
Se non ammetto pubblicamente di
star scrivendo il terzo libro di Terry Brooke potrei essere invasa da messaggi
di minacce di torture imminenti (perché ovviamente i miei lettori sono fatti a
mia immagine e somiglianza) quindi… SI, sto scrivendo un nuovo romanzo con
protagonista la burbera ispettrice del mio cuore di carta e inchiostro; sto
anche scrivendo una raccolta di racconti horror che molto probabilmente pubblicherò
in un particolare formato cartaceo illustrato.
Ultime due domande. Quelle che nelle interviste qui a
giallo e cucina non possono mai mancare. La prima: per fare onore alla seconda
parte del nome del blog ti chiedo quale potrebbe essere il piatto preferito di Terry
Brooke? Mi rendo conto che in questi romanzi dove la suspense è massima gli
argomenti che all’alleggeriscono la tensione sono pochi ma se non ricordo male
in La giostra dei clown qualcosa di culinario viene accennato. Tu cosa pensi
possa preferire?
Sicuramente un piatto di pasta alla carbonara o una
spaghettata aglio e olio, cose semplici e forti allo stesso tempo, ovviamente
accompagnati da una buona birra indispensabile per Terry Brooke
La seconda: consiglia un libro (anche due) di un tuo
collega, magari self come te, che vuoi che i lettori conoscano ed eventualmente
apprezzino. Consideralo un modo per promuovere la lettura e per aiutare un tuo
collega che ritieni magari sottovalutato.
Visto che la maggior parte dei mie
scrittori preferiti, tranne King, vivono in eterno solo attraverso le pagine
dei loro scritti, suggerisco un mio collega e amico, appassionato di horror tanto
da dedicare al genere anche una pagina Instagram e Facebook, Saverio Maro che
con le sue appassionanti storie spesso fa tornare alla mente i grandi classici
di questo genere, suggerisco di sbirciare su Amazon “Tall men” (dove l’horror
si fonde con la fantascienza) e i racconti “Scheletri fuori dall’armadio”
Ti ringrazio della bella chiacchierata. Se vuoi puoi
aggiungere qualcosa che magari ritieni importante far sapere ai lettori….
Ci vorrebbe un’intervista
infinita per scrivere tutto quello che mi riguarda, la complessità della mia
storia e quello che mi ha portata ad essere la persona e la scrittrice che sono
oggi, ma lascerò che il tempo e i miei stessi libri possano involontariamente
raccontare qualcosa di me, perché anche se sono una “mamma” accondiscendente e
faccio fare ai miei personaggi ciò che vogliono, alla fine loro sono comunque
parte di me e posseggono una piccola scheggia della mia anima e della mia
storia, che diventa anche un po' la loro. Alla fine un libro è un grande universo
ricco di mondi, quello dei personaggi di storie inventate, di chi li scrive e
anche di chi li legge, come dico sempre io: “Scrivere è come essere dio, datemi
una pagina bianca e vi costruirò un mondo”
Di nuovo grazie. Complimenti ed a presto.
Consenso trattamento dati personali
Nota bene: Rispondendo alle domande di questa intervista
viene dato il consenso alla sua pubblicazione sul blog Un libro di emozioni e
sui social ad esso legati.
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