La figlia unica - Guadalupe Nettel
Due
ventenni che si sono conosciute a Parigi tornano in Messico avendo maturato una
coscienza femminista. Entrambe rifiutano la maternità. Laura sta per finire una
tesi di dottorato mentre Alina che ha conosciuto nel frattempo Aurelio, cambia
idea e rimane incinta. Sembra che tutto proceda per il meglio e invece una
ecografia rivela che la bambina ha una malformazione e probabilmente non
sopravvivrà al parto. È Laura a raccontare il percorso della coppia e la
nascita di Ines, racconterà anche di se stessa e della vicina Doris alle prese
con un figlio adorabile ma difficile da gestire.
La
storia della maternità di Alina si ispira alla difficile esperienza di un’amica
dell’autrice e, come si evince dalla dedica, il libro intende essere un omaggio
legando così scrittura e vita.
La
scrittura della Nettel è asciutta, intensa, apparentemente semplice e questa
semplicità diventa un bisturi affilato che tocca i nervi scoperti legati
all’idea di maternità declinata nel libro in ogni aspetto con spirito critico
esaminando le scelte più intime delle donne.
La
maternità è vista come desiderio, come status da conquistare, come rifiuto
consapevole, come ostacolo alla carriera, come contrapposizione nella relazione
di coppia, ma anche come rivelazione della parte autentica di sé e delle
relazioni. La Nettel pone domande inaspettate e difficili, quelle che molte
donne e madri non osano nemmeno pensare. Dà risposte autentiche, empatiche, talvolta
spietate, però non in modo assoluto, mai giudicanti, fornendo modelli
alternativi attraverso un coro di voci femminili che hanno fede nella vita, una
fede laica, che, da lettrice, è impossibile non cogliere.
La
maternità è una condizione così intima e composita, così incognita, così piena
di luci e ombre che ogni situazione è degna di riguardo e considerazione;
nessuno può giudicare, nessuno può decidere cosa sia giusto per una donna se
non quello che decide per se stessa.
Tutti
i personaggi femminili, ciascuno con le proprie esperienze, le proprie esigenze
e desideri, ma anche difetti e timori, costruiscono senza rendersene conto una
rete di mutuo soccorso senza esserne obbligate.
Questo
libro non parla solo e soltanto di maternità in senso stretto, piuttosto
allarga a un “prendersi cura” dimostrando che si può amare e accudire anche chi
non è sangue del proprio sangue.
La
Nettel esorta a cancellare le categorie definite e utilizzare la similitudine
con il mondo animale. I due piccioni che hanno scelto di nidificare sul
terrazzo di Laura, probabili vittime consapevoli di quello che è chiamato
scientificamente “parassitismo di cova”, non temono di affrontare una maternità
non biologica e si uniscono a formare una famiglia e diventano con il loro
figlio/non figlio cuculo il simbolo di tutte le possibili maternità.
Quante
volte in passato i bambini sono stati allattati, nutriti, accuditi e cresciuti da
donne che non li avevano partoriti, pertanto, non si possono accettare limiti all’amore.
L’aggettivo
unica, abbinato alla figlia del titolo farebbe immediatamente pensare al fatto
di essere una sola figlia per una coppia di genitori, qui invece unica ha un
altro significato. Indica il rapporto madre-figlia il cui vincolo è unico. In
tal senso è la singolarità di Inés figlia e l’esperienza della maternità che fa
Alina diventano metafora di quello che è forse il motivo principale del
romanzo, ossia l’unicità delle relazioni, motivo che accende anche il rapporto
che nasce tra Laura e il piccolo Nicolas, figlio problematico di Doris, sua
vicina di casa, e di cui la giovane inizia a prendersi cura a modo suo. Unicità
che mette in risalto tutto ciò che non è normativo, conosciuto e rassicurante,
ma piuttosto dissonante, diverso e pur sempre dotato di una sua bellezza.
Non
c’è un finale rassicurante, bensì tante storie sospese in perenne divenire e in
contraddizione: Alina e Doris, madri che amano i propri figli, ma, per motivi
differenti, sentono il peso schiacciante della maternità; Laura invece, quando
incontra Nicolas, deve ricontrattare con se stessa il rifiuto di maternità e il
rifiuto verso la madre; madre che, dopo aver difeso bellezza e importanza della
maternità con la figlia, rivela quasi in sordina, trattarsi di “una stanchezza irrimediabile”; l’arrivo di una fin troppo premurosa tata
costringe Alina ed Aurelio a ripensare il loro rapporto genitoriale e di
coppia; Doris deve combattere con la violenza del figlio dopo aver subito
quella del padre, ma soprattutto contro la sua depressione e instaura
un’amicizia che prenderà pieghe inaspettate con Laura.
La
coralità di situazioni si intravvede anche nell’Alveare, collettivo femminista pensato come spazio di incontro e
condivisione femminile con il Messico sullo sfondo, perennemente in lotta con
le sue tante anime. Un paese che ancora non assicura la pienezza di diritti
alle proprie donne, dove si ha paura di uscire per strada in certi orari e le
donne muoiono senza che si parli di femminicidio.
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