Il valore affettivo – Nicoletta Verna -
recensione a cura di Lilli Luini
Dopo il bellissimo “I giorni di
vetro”, ho voluto leggere anche l’opera d’esordio di questa scrittrice. Devo
dire che non mi ha deluso. Se I giorni di vetro era ambientato negli anni ‘40,
questo è un romanzo pienamente figlio del nostro tempo. Il titolo fa
riferimento agli oggetti di cui ci circondiamo e che dopo la nostra morte
rimangono qui, simbolo del lutto per chi resta. Ma anche agli oggetti che
desideriamo e consumiamo, gettandoli via.
Bianca è una donna che
all’apparenza ha tutto: bellezza, amore, benessere. Vive in un attico nel
centro di Roma, con il marito Carlo, cardiochirurgo di fama. All’apparenza c’è
un solo neo nella sua felicità: l’incapacità di concepire un figlio. I tentativi
sono andati falliti e le condizioni del suo utero peggiorano giorno dopo giorno.
Fin qui, una storia come tante, ma Bianca cela molto di più. La sua mente,
infatti, è ancora più sofferente del suo utero: una forma maniaco-ossessiva che
le impone di fare le liste mentali dei rifiuti, continuare cioè a differenziare
la spazzatura prima nella sua mente poi, pian piano, anche nella realtà.
Nessuno lo sa, ma lei passa ore a dividere i rifiuti, tutti quelli che la
nostra società produce. Qualsiasi oggetto, lei lo divide e il culmine lo
raggiunge quando la piccola nipotina di Carlo lascia a casa loro il suo
orsacchiotto preferito. Bianca lo prende e lo fa a pezzi, “…stacco con le
forbici gli occhi e li getto nella raccolta della plastica, lo sventro per fare
uscire l’imbottitura di pula di miglio e versarla nell’organico, metto il resto
nell’indifferenziata”.
Anche il lavoro di Bianca è
inquadrato nel nostro tempo: sbobina interviste per una società di ricerche di
mercato, su temi e prodotti disparati. “Una macchina da soldi senza il cui
beneplacito nessuno si sente più di muovere un quattrino”, la definisce
lei.
Una pagina dopo l’altra scopriamo
la famiglia distrutta che c’è alle sue spalle, i tanti tentativi di suicidio
della madre, la fuga del padre verso un’altra felicità, il senso di colpa di
Bianca per la morte della sorella amatissima. Fino a scendere dentro di lei,
pensa in una ricerca assurda.
Bianca alla fine la scopre, la
verità sulla morte di Stella, ma l’autrice sceglie la strada più difficile,
quella della verità che non porta rinascite miracolose ma altro dolore e
disincanto.
La scrittura è tesa, cruda,
incredibilmente centrata. Le parti in cui la protagonista fa le liste della
differenziata sono notevoli, considerando che non è certo facile inchiodare un
lettore alla sedia con un argomento simile. Altra scelta difficile dell’autrice
è quella di far narrare in prima persona a Bianca, e qui esce tutto il suo
talento che riesce a calibrare bene i flussi di coscienza con altri argomenti,
i rapporti con Carlo, con i suoi amici, le sedute di psicoterapia (tanto
fallimentari da essere divertenti), il campionario umano che esce dalle
sbobinature che arriva a collocare lo squilibrio di Bianca sulla scena dello
squilibrio del nostro mondo.
Nel panorama di storie commoventi
e altamente emozionali che conquistano i lettori, la storia di una donna quasi
incapace di emozioni, una donna danneggiata e disturbata, è la voce fuori dal
coro, inquadrato com’è nel nostro mondo reale. Non si piange, leggendo questo
romanzo, non vengono le lacrime agli occhi, ma quando lo finisci ti senti di
avere qualche arma in più per affrontare ciò che sarà.
“Continuo a pensare a chi se
ne va e a chi resta e al loro trait d’union più evidente: gli oggetti.
L’immagine più nitida della morte sono gli oggetti che le persone lasciano, con
quello che chiamiamo valore affettivo”.
genere: giallo
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