La fabbricante di stelle - Melissa Da Costa -
recensione a cura di Patrizia Zara
“Le lacrime non sono deboli. Sono pioggia che feconda il cuore quando sta per
diventare deserto.”– Christiane Singer
Ci sono libri che non si leggono: si vivono, si accolgono come si accoglie una
stagione dell’anima.
“La fabbricante di stelle” di Melissa Da Costa è una di quelle letture che
entrano piano, con la delicatezza di una carezza sul viso, ma poi restano per
sempre, come i sogni che da piccoli ci aiutavano a respirare quando il mondo
faceva paura.
Arthur è lì, nel ventre sospeso di una sala d’aspetto d’ospedale, in attesa
della nascita di sua figlia. Ma in realtà non è solo. Con lui ci sono mille
emozioni, e soprattutto un ricordo: quello di una madre vestita di favola,
Clarisse, che ventitré anni prima gli aveva detto addio con parole da stella
cadente. Non “vado via”, ma “parto per Urano, per colorare il cielo e costruire
nuove stelle”. Un’ultima bugia dolcissima, inventata per non spezzare il cuore
di un figlio.
In quella strana estate sospesa nel tempo, Clarisse aveva regalato a suo figlio
attimi eterni, ritagliandoli come piccoli miracoli tra la realtà e il sogno:
storie di galassie lontane, promesse dipinte nella notte, e una richiesta
struggente— "Se vedrai una mia lacrima, raccoglila. Va posata ai piedi
dell’albero della musica, perché ogni dolore può diventare melodia.”
È in questi frammenti che Arthur si rifugia mentre attende. E il passato si
intreccia con il presente, in un ricamo di memorie e nuove speranze. C'è
qualcosa di magico, di sacro, in questo alternarsi di nascita e separazione.
Una madre che parte, una figlia che arriva. Un cuore che si rompe, un’anima che
si amplia.
Il romanzo non ti prende solo per mano: ti trascina dolcemente nell’abisso
luminoso del sentire. Ogni pagina è un battito, ogni frase è una carezza
bagnata di nostalgia. È uno di quei libri che ti lascia spogliato e pieno al
tempo stesso, con l’anima trafitta ma anche grata per il dolore che riconnette
alla verità più profonda: l’amore, quello vero, non finisce. Semplicemente
cambia forma.
“La fabbricante di stelle” non è solo una storia. È un canto silenzioso per chi
ha perduto, un faro per chi attende, una costellazione cucita con lacrime e
sogni.
Leggerlo è come tornare bambini per un attimo.
È lasciarsi consolare da una bugia luminosa.
È dire a se stessi, senza vergogna:
“Anch’io voglio credere che mia madre sia su Urano a dipingere le stelle.”
Sì, questo libro è un balsamo per chi ha conosciuto il vuoto dell’assenza.
Lo consiglio a chi ha perso una madre, un padre, una persona che ha lasciato
un’orma profonda e ancora viva nel cuore.
A chi, anche da adulto, sente la necessità di credere che chi se ne è andato
non sia scomparso, ma semplicemente partito per un’altra galassia.
A chi ha avuto un addio senza risposta, e cerca conforto in una bugia bella,
piena di luce, come quella di Clarisse.
Ma anche a chi non ha subito una perdita concreta ma sente la nostalgia di
qualcosa che non sa nominare.
A chi ama i racconti che parlano alla parte più fragile e tenera di noi.
A chi ha bisogno di una storia semplice e struggente, che scavi con delicatezza
e lasci germogliare qualcosa di nuovo.
“La fabbricante di stelle” non consola solo: trasforma il dolore in poesia, la
mancanza in musica.
È una carezza per chi vuole ancora credere che le lacrime abbiano un senso,
anche quando sembrano cadere nel vuoto.
genere: narrativa
anno di pubblicazione: 2025
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